Nella vita quotidiana
della stragrande maggioranza degli italiani, indaffarati come siamo a
far quadrare i conti, non c'è posto né tempo per pensare ad un
bene fondamentale per la nostra esistenza, uno dei quattro elementi
di cui è costituito il nostro universo, la terra. E cosi la terra
diventa sfruttata, contaminata, violentata. Eppure senza di essa non
potremmo neppure esistere sulla faccia della terra, appunto. Ma cosa
possiamo fare concretamente per salvarla? Molto, anche nel nostro
piccolo. Affrontando questa tematica ci si rende però subito conto
della valenza culturale del problema: la mancanza cioè di un modello
educativo e di politiche di sviluppo che sostengano le attività
inerenti l'uso consapevole, rispettoso e funzionale alla tutela di
questo elemento cosi importante per la nostra sopravvivenza. Per
diversi lustri la nostra classe politica ha ritenuto prioritario
incentivare lo sviluppo economico legato alla grande industria,
considerando la salvaguardia del territorio un ostacolo a tale
sviluppo e non un opportunità. Gli amministratori locali, spinti da
un lato dalle richieste sempre più numerose di cittadini consapevoli
del valore e dell'importanza di restituire alla terra il suo ruolo
primario, dall'altro sollecitati delle ricadute economiche e sociali
che la crisi, seconda ormai solo a quella del dopoguerra, sta
causando, hanno pubblicato già da qualche anno ormai, bandi di
concorso per l'assegnazione di orti di proprietà comunale. Si tratta
di iniziative senz'altro lodevoli e degne di un plauso, ma riteniamo
ancora troppo isolate e non facenti parte di un piano organico e
sistemico di riqualificazione del territorio. Mentre gli assessori
all'Ambiente e ai lavori pubblici Garotta e Crimello presenziano,
fino all'esclusivo momento del loro intervento, al seminario sugli
orti urbani organizzato da terraonlus a Genova, in città i comitati
di quartiere protestano per le varie scelte che proprio il Comune
sta intraprendendo: pensiamo al terzo valico, alla gronda, al
progetto del nuovo stadio in zona Foce, all'abbattimento di ponti
secolari come ponte Carrega per far spazio a un nuovo centro
commerciale, a nuovi parcheggi in Corso Sardegna e in via amarena,
con il disboscamento di uno dei pochi boschi urbani rimasti in città,
Bosco Pelato. Tutte opere insostenibili per un territorio già di per
se fortemente compromesso da anni di cementificazione selvaggia.
Progetti che non essendo stati integrati nel PUC (piano urbanistico
comunale) creeranno anche un notevole disagio sociale sconvolgendo
gli equilibri già precari del tessuto commerciale locale e che
aumenteranno i rischi dovuti al dissesto idrogeologico perché privi
di un attenta valutazione di impatto ambientale. Problemi da troppo
tempo lasciati alla provvidenza, ma questa -non è- un altra storia. Scusate la doverosa premessa a sottolineare la necessità di attuare
politiche coerenti e non solo scenografiche. L'orto urbano può
rappresentare un piccolo passo verso la concreta salvaguardia del
territorio. Un contributo per l'affermazione di un nuovo modello
culturale, e l'affluenza al seminario è la conferma della crescente
sensibilità ai problemi ambientali, l'autosufficienza e il risparmio
sono i principali fattori incentivanti; difatti con pochi metri
quadri (50-200 a seconda del metodo di coltivazione utilizzato) si
può rispondere al fabbisogno di una famiglia di quattro persone con
un risparmio che a conti fatti si aggira intorno al 18-20%. Ma ci
sono altri aspetti, tutti positivi: l'utilizzo di spazi urbani per
la coltivazione impedisce che quel territorio venga sfruttato per
nuove speculazioni edilizie, che sia soggetto a frane. Incentivando
la produzione di prodotti biologici senza uso di diserbanti e
pesticidi, si evita la contaminazione delle falde acquifere e si
riduce l'inquinamento atmosferico, grazie alla peculiarità dell'orto
urbano di produrre a chilometri zero. Infine aspetto non
trascurabile, si può contribuire, in piccola parte forse, ad
influenzare il Mercato calmierando il rincaro dei prezzi. Nuove
tecniche agrarie recentemente importate in Europa dal Giappone poi
diffuse in Spagna ed ora anche in Italia potrebbero rivoluzionare in
breve tempo il modo di chiedere alla terra i suoi frutti,
rispettandola finalmente. La coltivazione sinergica, la permacoltura,
la fertilizzazione con il cippato di ramaglia sono solo alcuni
esempi. Genovirus vi propone il seminario in forma integrale diviso
in varie parti ed integrato da contenuti speciali. Perché riteniamo
questo tema di importanza vitale.
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