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sabato 19 aprile 2014

In Italia continuano a diminuire gli anni di vita in salute

Tratto dalla rivista on line MD digital

Valerio Gennaro
UO Epidemiologia Clinica, IRCCS - AOU San Martino, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro (IST), Genova
Giovanni Ghirga
Pediatra, Ospedale San Paolo, Civitavecchia (RM)
Laura Corradi
Sociologa, Università della California - Professore in Sociologia della Salute e dell'Ambiente, Università della Calabria


La buona notizia è che in Italia la durata della vita media, dal 2004 al 2012, ha continuato a crescere, come è accaduto costantemente nei decenni precedenti. Il nostro Paese rappresenta così una delle nazioni in cui questo valore è molto alto: a fronte di una media europea che si attesta intorno ai 76.3 e 82 anni, per uomini e donne, in Italia si raggiungono rispettivamente 79.8 e 84.8 anni. Lo rivelano i dati Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione Europea, sulla base di dati relativi a cittadini europei forniti direttamente dai singoli Stati membri http://ec.europa.eu/health/indicators/echi/list/index_en.htm
Accanto a questo dato assolutamente confortante emergono contemporaneamente altre evidenze tutt’altro che rassicuranti per il nostro Paese: dal 2004 al 2012 è calata fortemente l’aspettativa di vita libera da malattia. Questo parametro proviene chiedendo, a un grosso campione rappresentativo dell’intera popolazione, se negli ultimi 6 mesi, a causa di problemi di salute, abbia subito limitazione alle attività quotidiane.
Dal 2004 il continuo peggioramento è stato evidente. Nel 2012 l’aspettativa di vita sana alla nascita è scesa a 62.1 anni negli uomini (era 68.7) e 61.5 nelle donne (era 71). I valori si collocano ora sul valore medio europeo (maschi) o addirittura al di sotto di oltre 1 anno (femmine).
Questa tendenza è condivisa anche da altri Paesi europei, come la Danimarca (la durata della vita sana nei maschi è scesa da 68.3 a 60.6 anni), l’Olanda (da 65.4 nel 2005 a 63.5) e la Bulgaria (da 66.2 nel 2006 a 62.1). La maggior parte degli altri paesi mostra andamenti stabili o in crescita; spiccano, in senso positivo, l’Irlanda (aspettativa di vita sana maschile aumentata da 62.5 a 66.1), il Lussemburgo (da 59.5 a 65.8) e la Svezia (da 62.0 a 70.9).
Dopo i 65 anni in Italia l’aspettativa di vita sana è scesa a 7.8 anni (maschi) e 7.2 anni (femmine), la metà rispetto ai massimi europei e ben al di sotto della media europea, rispettivamente di 9 e 9.3 anni. (figura)

Conseguenze anche per i Mmg
Oltre alle ovvie considerazioni sanitarie e di qualità di vita dei singoli individui, la situazione italiana ha altre immediate implicazioni: una di queste è il fatto che i Mmg, a parità di assistiti rispetto a 10 anni fa, presentano un numero maggiore di soggetti malati, con le naturali conseguenze in termini di quantità e qualità di lavoro e qualità di vita. Un'altra conseguenza è l’aumento della spesa sanitaria, poiché, come visto, a fronte di un aumento dell’aspettativa di vita si è riscontrata una riduzione dell’aspettativa di vita “sana”, come dire che il numero degli anni con disabilità tende molto ad aumentare.
A questo si aggiunge il fatto che un maggior numero di anni vissuti con patologie invalidanti significa maggior sofferenza sociale, maggiori costi e minore produttività, sia per i soggetti in età lavorativa che per i familiari dedicati alla loro assistenza.

Ricercare le cause
È quindi fondamentale ora ricercare le cause di questo fenomeno, per porvi prima possibile un valido rimedio. Vi sono probabilmente responsabilità di vario tipo, politiche, economiche, sociali, ambientali, oltre al fatto che verosimilmente gli ultimi anni di recessione possono aver peggiorato fortemente la situazione. La relazione tra crisi economica e salute pubblica è stata già ben documentata negli anni ‘90 in Russia (Stuckler D et al. Lancet 2009; 374: 315-23; Stuckler D et al. Lancet 2009; 373: 399-407). Ma anche recentemente, sempre su Lancet, sono state documentate le conseguenze dei tagli alla sanità e della politica di austerità instaurata da qualche anno in Grecia (Lancet 2014; 383: 691; Lancet 2014; 383: 691-2; Lancet 2014; 383: 748-53).

Si ringrazia MD digital per la gentile concessione

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