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venerdì 14 giugno 2013

Appello di un padre: Marco Costa ad un anno e mezzo dall'alluvione chiede risposte.

          Gli occhi cerchiati di chi ha pianto, lo sguardo timido e la voce bassa, a tratti tremante, sembrano raccontare a chi non sa, di una vita segnata dal profondo dolore. Marco Costa è il padre di Serena, la ragazza scomparsa durante l'alluvione del 4 novembre 2011. Prima di incontrarlo per registrare queste sue dichiarazioni per il M5S di Genova, mi ponevo una domanda: come posso chiedere ad un uomo così afflitto dal dolore, che la perdita di una figlia comporta, di riaprire quelle ferite che mai si rimargineranno? Un padre come me può solo immaginare la tremenda sofferenza e augurarsi che mai un lutto simile possa colpirlo da vicino. Penso che l'unica ragione di vita che a un padre rimanga, dopo un fatto simile, sia proprio quella di dare un senso a quella prematura scomparsa, come facente parte di un disegno divino che nella sua impietosa fatalità abbia invece una precisa collocazione logica al di sopra di ogni comprensione umana. Non è per fare leva sulle tristi emozioni, che una situazione come questa crea, che facciamo questa premessa, piuttosto per esprimere un concetto che dovrebbe essere sottinteso da chi risiedendo nelle Istituzioni deve dare risposte confrontandosi con persone fortemente colpite a causa delle inadempienze e delle scelte sbagliate fatte in oltre 50 anni. Ci si dovrebbe porre con umiltà, implorando il perdono anche se non ci si sente personalmente responsabili, rassicurando chi, come Marco Costa, ha perso ciò che aveva di più caro, che si farà qualcosa, ci si sforzerà di trovare soluzioni tecniche che attenuino, almeno, i rischi idrogeologici che hanno causato gli eventi che tutti conosciamo e che impediscano ad altre persone di rischiare la loro vita. L'atteggiamento delle Istituzioni di una Nazione civile come L'Italia si vanta di essere, è quello del muro di gomma; si ha così ad ogni livello la percezione di una indifferenza ed un immobilismo totale, nelle migliori delle ipotesi, di saccente arroganza, maleducazione, rimbalzo delle competenze istituzionali negli altri casi. Perché un uomo, che avrebbe tutti i diritti di esigere risposte, deve ricorrere ad un appello videoregistrato invece di rivolgersi direttamente alle Istituzioni? Non è moralmente tollerabile procurare ulteriore sofferenza ad un uomo come Marco Costa e a chi come lui si sente oggi non tutelato e abbandonato da chi per primo dovrebbe essere dalla sua parte.

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